Frana del Vajont. Accadde oggi

Alle 22:39 del 9 ottobre 1963 la montagna di 270 milioni di metri cubi precipita nel lago a 100 km l’ora

Frana del Vajont. Accadde oggi
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Frana del Vajont. In totale muoiono 1.917 persone, di cui 487 bambini e ragazzi; 451 vittime non sono mai state ritrovate.

Frana del Vajont

Nella sera del 9 ottobre 1963 una frana di 270 milioni di metri cubi si staccò dal fianco del Monte Toc, al confine tra il Veneto e il Friuli. La frana precipitò in un lago artificiale e l’acqua fuoriuscendo creò una gigantesca onda, simile ad uno tsunami, che uccise circa 2.000 persone. Tutto nacque dalla necessità di creare un rapido sviluppo in aree rimaste economicamente arretrate, ma soprattutto dalla volutamente scarsa conoscenza della situazione geologica contrapposta alla troppa fiducia nelle scienze "esatte".

Una tragedia annunciata

Terminata la costruzione della diga, iniziano le prove di invaso e di svaso, ovvero di riempimento e di svuotamento del bacino. Dopo varie simulazioni, condotte sottostimando le dimensioni di una eventuale frana, viene fissato un limite di sicurezza della quota massima dell’acqua del lago, circa 20 metri sotto alla quota massima prevista. Nell’aprile 1963 inizia una terza prova di invaso, che porta l’acqua del lago al suo livello massimo. Nel settembre 1963 vengono evidenziati movimenti di 2 centimetri al giorno del fianco del Monte Toc, e quindi viene deciso un rapido svuotamento del lago, ma oramai l’acqua del lago aveva fluidificato dei livelli di argilla e la frana era stata innescata.

Poche ore prima

Il giorno 8 ottobre 1963 gli strumenti di rilevazione mostrano che il versante del Monte Toc si è mosso in poche ore di più di mezzo metro, e quindi si decide di svuotare ancora più rapidamente il lago. Paradossalmente il rapido svuotamento del lago diventa uno dei fattori scatenanti, in quanto la presenza della massa d’acqua del lago funge proprio da puntello alla frana stessa. Il 9 ottobre è una giornata di sole. Il Comune di Erto e Casso emette una ordinanza di sgombero per alcune frazioni più vicine al lago. A mezzogiorno alcuni operai vedono ad occhio nudo il movimento della montagna, e gli alberi che si inclinano. Vengono inviate a Roma, per posta ordinaria, delle richieste di istruzioni.

La tragedia. Prima Cassio

Alle 22:39 del 9 ottobre 1963 una frana di 270 milioni di metri cubi precipita nel lago a 100 km l’ora. La frana colma la depressione del lago, spingendo l’acqua in alto. La frana non colpisce direttamente la diga, che quindi non crolla, e riempendo l’invaso di detriti fa sì che la massa d’acqua sollevata non si schianti contro la diga stessa, ma la superi. L’acqua, sollevata dalla frana come uno tsunami, forma una onda alta 250 metri d’altezza, che si divide in tre parti. La prima onda colpisce il paese di Casso, ed è più alta del paese stesso. L’acqua e i massi sfondano i tetti delle case, ma per fortuna non si registra nessun morto.

Poi Erto

La seconda onda si dirige verso Erto; il paese non viene colpito perché protetto da uno sperone di roccia, ma vengono distrutte alcune frazioni, con circa 350 morti. La terza onda supera il coronamento della diga e 50 milioni di metri cubi d’acqua e di roccia volano oltre la diga a 80 km all’ora. L’onda produce un vento sempre più intenso, che porta con sé una nuvola di goccioline d’acqua, e allo sbocco della valle del Vajont l’onda è alta 70 metri.

Infine Longarone

A Longarone la gente è nei caffè per vedere alla televisione la finale di Coppa dei Campioni tra il Real Madrid e i Glasgow Rangers. Va via la luce, si vedono sulla montagna dei lampi. Poi arriva il vento, che toglie il respiro. Alle 22.43 l’onda che ha scavalcato la diga crolla nella Valle del Piave e piomba su Longarone, polverizzando persone e case. Il livello del fiume si alza di 12 metri in pochi istanti e dopo 15 minuti l’onda di riflusso torna giù a lisciare tutto, e la valle è trasformata in una spianata di fango. In totale muoiono 1.917 persone, di cui 487 bambini e ragazzi; 451 vittime non sono mai state ritrovate.

Il dopo

Per l’accaduto vengono rinviati a giudizio undici persone, dirigenti e consulenti della società proprietaria dell’invaso (prima Sade e poi Enel) e alti funzionari del Ministero dei lavori pubblici. Alla fine di tutti i gradi di giudizio vengono condannati solo due tecnici, e solo uno di loro finisce in carcere (per un anno e mezzo). Pochi giorni dopo la tragedia arriva a Longarone il presidente del Consiglio, Giovanni Leone, che promette giustizia ai parenti sopravvissuti; ma lo stesso Giovanni Leone, terminato l’incarico di governo, è il capo del collegio degli avvocati della Sade e dell’Enel. Giovanni Leone riesce a trovare nel codice cavilli e codicilli che permettono di non risarcire i parenti di circa 600 morti.

 

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