Sindacati contro il decreto sicurezza, 30 esuberi alla Ruah

"Con la legge 132/2018 si rende più precaria la condizione di chi chiede e ottiene protezione e si producono negative ripercussioni sul lavoro di migliaia di giovani professionisti formati su attività specifiche".

Sindacati contro il decreto sicurezza, 30 esuberi alla Ruah
Pubblicato:
Aggiornato:

Sindacati contro il decreto sicurezza. Dopo l’annuncio dei 30 esuberi alla Ruah di Bergamo e dopo l’apertura dello stato di agitazione dei lavoratori della cooperativa, interviene con alcune riflessioni anche Annalisa Colombo, che per la segreteria della CGIL di Bergamo dirige l’Ufficio Migranti e coordina le politiche sulla migrazione.

Sindacati contro il decreto sicurezza

“Le politiche migratorie attuali rispetto all’accoglienza non lasciano spazio al pieno esercizio dei diritti, non solo dei migranti, ma anche dei lavoratori che hanno profuso il loro impegno e costruito competenze per svolgere il loro lavoro in modo efficace e dignitoso. Con la legge 132/2018, voluta dal Ministero dell’Interno, si rende più precaria la condizione di chi chiede e ottiene protezione e si producono negative ripercussioni sul lavoro di migliaia di giovani professionisti formati su attività specifiche”.

"Accoglienza con offerte al ribasso"

“Con i nuovi bandi prefettizi, infatti, si favorisce l’accorpamento dei beneficiari in strutture più grandi (fino a un massimo di 300 persone), a causa dell’ingente riduzione del budget. I vecchi bandi prevedevano un massimo di 35 euro al giorno e pro capite (che – lo ripetiamo ancora – non finivano nelle tasche dei migranti, se non in minima parte per piccole spese), mentre il nuovo capitolato dispone una forbice direttamente proporzionale al numero di persone accolte che va da 26,50 euro a 21,50, sempre pro die e pro capite, con il forte rischio di offerte al ribasso. Molti gestori storici dell’accoglienza hanno deciso di non partecipare. Nella nostra provincia Ruah e Caritas hanno dato la loro disponibilità mettendoci, però, risorse aggiuntive proprie” prosegue la sindacalista. “E tutto questo a danno della possibilità di integrazione nel territorio locale. Faticosamente, infatti, negli ultimi anni, alcuni Comuni, con la collaborazione di associazioni ed enti diversi, avevano tentato di strutturare una tipologia di accoglienza diffusa che, da un lato, ha evitato di concentrare i richiedenti in grandi strutture, dall’altro, ha promosso una maggiore integrazione attraverso corsi di italiano, attività formative, tirocini, etc. Seppur numericamente esigue, queste esperienze virtuose verranno totalmente eliminate dal nuovo approccio”.

"Che fine farà l'integrazione?"

La riduzione del budget e il ritorno all’accoglienza in grandi strutture avrà conseguenze importanti sui servizi erogati, ridotti ai bisogni essenziali (vitto e alloggio) e tagli del personale, dunque. “I servizi avevano lo scopo di potenziare il coinvolgimento sociale e culturale nel territorio: inserimento a scuola dei minori e formazione professionale per gli adulti; supporto legale; realizzazione di corsi di lingua italiana da parte degli enti gestori o iscrizione ai corsi L2; orientamento e accompagnamento all’inserimento abitativo e lavorativo; attività socio-culturali e sportive. Tutti questi servizi, con la nuova legge, vengono azzerati per i richiedenti asilo e i titolari di protezione umanitaria, e ridotti per titolari di protezione internazionale con la motivazione di ridurre la spesa pubblica. Un altro esempio riguarda il supporto legale erogato dagli enti gestori ai beneficiari accolti: il nuovo capitolato di gestione dei CAS emesso dal Ministero degli Interno impone una riduzione drastica anche delle ore di assistenza legale. Che fine faranno i diritti e l’integrazione?”.

TORNA ALLA HOME

Seguici sui nostri canali