Videogiochi dipendente, a 14 anni finisce in comunità

Oggi, alle 12, è previsto un presidio di controllo pacifico del CCUD per controllare che non venga leso alcun diritto. L'appello dell'avvocato: "Il Tribunale di ravveda".

Videogiochi dipendente, a 14 anni finisce in comunità
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Videogiochi dipendente, a 14 anni finisce in comunità. Qualche giorno fa vi abbiamo raccontato la storia di Antonio M. (nome di fantasia) e del suo "vizio" tecnologico. Oggi i Servizi sociali, insieme con i carabinieri se ce ne fosse bisogno, procederanno all'allontanamento da casa, ma troveranno anche un presidio pacifico di controllo.

Videogiochi dipendente ma si è pentito

Antonio ha 14 anni e gioca tanto, anzi troppo, con i videogiochi. Gioca così tanto che anche il suo rendimento scolastico cola a picco. Nei giorni scorsi un giudice ha deciso che dovrà lasciare la sua casa e sua madre per finire in una comunità. Antonio, però, non vuole e si è detto pentito. Lo ha scritto anche al giudice, ma il suo appello è caduto nel vuoto.

La protesta del Comitato per i diritti umani

La vicenda è stata presa a cuore anche dal CCDU (Comitato dei cittadini per i diritti umani) che si è attivato per cercare una mediazione tra famiglia e istituzioni. Anche i nonni, però, che si erano detti favorevoli ad accogliere il nipote non sono stati ascoltati. Una "prova di forza" del Tribunale che il CCDU non si sa spiegare.

Oggi l'allontanamento coatto

Oggi (intorno alle 12) i servizi sociali si presenteranno alla loro porta per allontanare il figlio coattivamente, e in caso di resistenza, saranno chiamati i carabinieri. Alcuni amici saranno presenti pacificamente per sostenere la famiglia durante le operazioni di allontanamento forzato. Anche il CCDU sarà presente con una delegazione.

Convocato in questura

"Antonio, giovedì 18 novembre è stato convocato in questura a Crema, dove ha manifestato chiaramente a un ispettore di polizia la sua intenzione di non andare in comunità, motivando tale volontà con la sua dismissione dei videogiochi e il suo ritrovato impegno scolastico, oltre al desiderio naturale e protetto dalla Costituzione di rimanere in famiglia - si legge nel comunicato del CCDU - L’ispettore ha ascoltato le sue parole e trasmesso un’informativa al giudice. Ma sembra che non sia bastato per fermare la deportazione forzata".

"Casi troppo frequenti"

“Questi casi sono troppo frequenti - ha commentato Paolo Roat Responsabile Tutela Minori del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus - Abbiamo ricevuto decine di segnalazioni, come il recente caso della ragazzina di Padova strappata alla mamma e, come riportano le cronache, addirittura legata a una barella. La maggior parte degli episodi non viene denunciata: quelli che vediamo sono solo la punta dell’iceberg. Queste pratiche disumane devono cessare. Abbiamo deciso di essere presenti per osservare e documentare qualsiasi violazione della legge, e ogni eventuale conflitto d’interessi".

Questo è un Tso

"L’allontanamento coatto è figlio dalla pratica psichiatrica del Trattamento Sanitario Obbligatorio: mentre si alzano da più parti voci autorevoli che chiedono una riforma della legge 180 in senso garantista, qui si vuole fare un TSO a un bambino - ha concluso Roat - Serve una riforma e un profondo cambiamento culturale.”

"Colpe addossate ingiustamente"

A sostenerlo è l'avvocato della famiglia Francesco Miraglia. “Ho deciso di accettare l’incarico perché mi sembra assurdo che un Tribunale per i Minorenni adotti una decisione che definirei alla Ponzio Pilato: invece di sanzionare gli operatori che si sono occupati del caso, neuropsichiatri infantili, psicologi e assistenti sociali, che evidentemente hanno fallito nel sostenere e aiutare questo ragazzo e forse dovrebbero essere mandati a fare un altro lavoro, si decide di allontanare il ragazzo dalla famiglia e di addossare tutte le responsabilità alla madre. Mi rivolgo al Tribunale affinché si ravveda e adotti delle misure più ragionevoli e di buon senso".

I problemi di socializzazione nei giovani

"Questo è un provvedimento ipocrita perché ogni dipendenza nasconde un problema più profondo di socializzazione. Vorrei pertanto lanciare un appello alle istituzioni perché questa vicenda è solo la punta dell’iceberg di una mancanza di politiche sociali per i giovani - ha concluso l'avvocato - Non ci sono più gli oratori o dei centri di aggregazione validi per questi ragazzi ed è necessario un ripensamento di quello che stiamo facendo per i nostri figli.”

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